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Comm. Tributaria Abruzzo. Imposta unica sulle scommesse: vige l’obbligo anche per la raccolta senza concessione ........
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Comm. Tributaria Abruzzo. Imposta unica sulle scommesse: vige l’obbligo anche per la raccolta senza concessione ........
Messaggioda advocatus » 10/02/2021 - 13:24
Comm. Tributaria Abruzzo. Imposta unica sulle scommesse: vige l’obbligo anche per la raccolta senza concessione a prescindere dal periodo di imposta
9 Febbraio 2021 - 13:26
La Corte Costituzionale ha affermato la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione a prescindere dal periodo di imposta ed ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla legge n. 220/2010 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale, escludendo tuttavia che il ricevitore possa ritenersi soggetto passivo di imposta per gli anni di imposta antecedenti al 2011.
Con questo presupposto la Commissione Tributaria abruzzese ha respinto il ricorso del titolare di una agenzia di scommesse a cui l’AAMS aveva notificato un avviso d’accertamento quale imposta unica dovuta sulle scommesse raccolte nell’anno di imposta 2012 oltre a sanzioni ed interessi, indicando quale soggetto responsabile la G. GmbH con sede in Austria quale soggetto responsabile in solido.
Contro detto atto ha proposto ricorso il contribuente lamentando: – l’inesistenza e/o illegittimità dell’avviso di accertamento per intervenuta estinzione della società e quindi di carica sociale in capo a R. prima dell’entrata in vigore delle modifiche dettate dall’art. 22 del D.Lvo 175/2014; – la sussistenza degli stessi dubbi interpretativi della normativa italiana in materia di Imposta Unica sulle Scommesse evidenziati nell’ordinanza della Commissione Tributaria Provinciale di Parma, con la quale veniva disposta la sospensione del procedimento in attesa delle determinazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per questioni pregiudiziali inerenti i principi di diritto dell’Unione Europea circa la parità di trattamento e non discriminazione anche fiscale; sospensione ritenuta applicabile anche al caso in esame; – l’eccessiva durata della verifica fiscale; – l’omessa pronuncia in ordine alla definizione ed al luogo di accettazione della scommessa; – la violazione e falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 28 novembre 2006 n. 2006 /112/CE. La CTP, con la sentenza impugnata, ha rigettato il ricorso ritenendo che: – a seguito dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese viene a verificarsi un fenomeno di tipo successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”.
Il primo motivo di impugnazione – inesistenza e/o illegittimità dell’avviso di accertamento per intervenuta estinzione della società – è, per la Comm.Tributaria, infondato e, quindi, deve essere rigettato. Le disposizioni dettate in materia di estinzione delle società di cui al D. Lgs. N. 175/2014, entrato in vigore il 13.12.2014, non avendo efficacia retroattiva, non si applicano alle società (di capitali o di persone) che hanno fatto richiesta di cancellazione dal registro delle imprese prima della loro entrata in vigore e, quindi non si applicano al caso in esame atteso che la cancellazione della società è avvenuta il 13.1 1.20 14. Non si applica, quindi, così come evidenziato anche dall’appellante, l’art. 28 del D.Lvo 175/14 che disciplina il differimento quinquennale -operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, con riguardo ai tributi e contributi – degli effetti dell’estinzione della società. La CTP, nella sentenza impugnata, ha correttamente richiamato la riforma del diritto societario di cui al D.Lgs n. 6/2003 nella parte in cui prevede che l’estinzione della società non determina l’estinzione dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi in quanto si verifica “un fenomeno di tipo successorio sui generis” a carico dei soci. E’ nei confronti dei soci e non della società (in persona del legale rappresentante) che, quindi, può essere proposta l’azione dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese. La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n, 4060 del 12.3.2010, ha affermato che alla cancellazione della società le relative obbligazioni non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Principio ribadito dalla Suprema Corte, Sez. VI, con l’ordinanza n. 11683 del 7.6.2016 e con l’ordinanza n.13805 del 6/7/2016 (Rv. 640167-01) laddove ha affermato che “In tema di società in accomandita, la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni contratte dalla società (nella specie relative ad IVA e IRAP) è illimitata e non circoscritta alle somme conferitegli in base al bilancio finale di liquidazione nonostante l’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, atteso che tale evento non determina l’estinzione dell’obbligazione sociale, ma solo il suo trasferimento in capo ai soci, i quali ne rispondono secondo lo stesso regime di responsabilità vigente “pendente societate”. Nel caso in esame l’Ufficio ha quindi correttamente notificato, il 10 luglio 2017, l’accertamento, avente ad oggetto l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse relativo all’anno 2012, a R. che, quale socio accomandatario della cessata società S. sas, risponde illimitatamente dei debiti sociali. Del pari priva di pregio è la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia in ordine alla “questione pregiudiziale” sollevata dalla CTP di Parma. Detta “questione pregiudiziale” sollevata dalla CTP di Parma non giustifica la sospensione del presente giudizio atteso che le questioni sollevate non sono più controverse poiché risolte sia dal giudice nazionale che dal giudice sovranazionale. In materia di giochi pubblici e scommesse, la Corte di Giustizia ha riconosciuto la piena legittimità dell’attuale sistema normativo nazionale, idoneo a rimediare alle pregresse distorsioni del mercato e giustificato da motivi di interesse generale, quali la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. La Corte di Giustizia, quindi, è approdata alle stesse conclusioni espresse dal Giudice delle Leggi con la sentenza n. 27 del 2018 ritenendo che non sussiste alcuna incompatibilità tra la normativa italiana ed i principi unionali di libera concorrenza e di parità di trattamento. La normativa italiana in detta materia è giustificata dall’esigenza di tutela di interessi generali ed in particolare per migliorare la solidità economica – finanziaria dei concessionari e rafforzane l’onorabilità e l’affidabilità oltre che per combattere la criminalità organizzata il cui perseguimento giustifica le restrizioni ivi previste (Corte di Giustizia UE, sentenza 20 dicembre 2017, C-322/16. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 23 gennaio 2012, ha ribadito la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse sia per il ricevitore che per il bookmaker privo di concessione, almeno per gli anni di imposta a partire dal 2011. Detta scelta corrisponde ad un’esigenza di effettività del principio di “lealtà fiscale” nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per operatori posti fuori dal sistema concessorio i quali sarebbero favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione ovvero di operare per conto di chi ne sia privo. E’ fatto salvo anche il rispetto del principio di capacità contributiva, atteso che, come esposto in detta sentenza, “il rapporto tra titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera”. Non sussiste, pertanto, alcuna violazione della libertà di prestazioni di servizi di cui all’art. 56 TFUE e dei principi eurocomunitari di parità di trattamento e di non discriminazione derivante dalla mancata disapplicazione dell’art. 3 del D.Lvo 504/92. Come sopra detto, la Corte Costituzionale, nella sentenza citata, ha ravvisato la ratio della normativa interna nell’opportunità di non operare una indebita discriminazione in danno degli operatori nazionali muniti di concessione. Del pari non sussiste alcuna discriminazione nel considerare il CTD soggetto passivo di imposta al pari della G. GmbH in quanto, in ossequio al principio di lealtà fiscale, l’obbligazione tributaria deve gravare anche sugli operatori posti fuori del sistema concessorio che concorrono a pieno titolo alla realizzazione del presupposto di imposta. La normativa italiana che ha stabilito soggettività passiva di imposta del cd. CTD e dei bookmaker privi di titoli autorizzatori previsti, pertanto, è perfettamente conforme al dettato normativo e giurisprudenziale del diritto unionale. La sentenza impugnata, quindi, si è posta in linea sia con quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 27 del 23 gennaio 2018 che ha escluso la violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità con riguardo all’assoggettamento ad imposta del ricevitore sfornito di concessione, con conseguente parificazione dello stesso al ricevitore concessionario, a partire dall’anno di imposta 2011. Ritiene questa CTR, alla luce di quanto sopra detto, che l’appellante è tenuto al pagamento dell’imposta unica dovuta sulle scommesse raccolte nell’anno di imposta 2012 atteso che lo stesso ha gestito in concreto una attività soggetta all’imposta unica sui giochi e sulle scommesse per conto del bookmaker estero al quale è legato da vincolo di solidarietà sostanziale. Il bookmaker estero (G. GmbH) ed il CTD che ha svolto una vera e propria attività di intermediazione – costituiscono un unico punto di imputazione di responsabilità rispetto alle pretese dell’erario poiché unitaria è l’attività posta in essere dai detti due soggetti. Del pari infondato è il motivo di impugnazione relativo all’eccessiva durata della verifica fiscale poiché l’attività è stata realizzata in una sola giornata, il 10.6.2014, presso la sede legale della cessata società denominata ” S. S.a.s. di R. & C.” e, quindi, nel pieno rispetto delle disposizioni previste. Non sussiste, pertanto, la violazione dell’art. 12, comma 5 della L. 212/2000 che espressamente prevede che la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può superare il termine di trenta giorni, prorogabile nei casi di particolare complessità dell’indagine neanche di altre norme dello Statuto del Contribuente. Privo di pregio è anche il motivo di impugnazione relativo all’erronea statuizione da parte della CTP del presupposto territoriale dell’imposta unica. L’art. 1 del D.Lvo n. 504/98 prevede che “La tassa di cui all’art. 6 del decreto legislativo 14 aprile n. 496, assume la denominazione di imposta unica ed è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 24, comma 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e nell’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773”. L’art. 3 del D.Lvo 504/98 prevede che i soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro che “gestiscono, anche in concessione, le scommesse”. Detti articoli debbono essere interpretati in base alle disposizioni di cui alla legge 220/2010 che, all’art. 1, comma 66 lett. a e b, detta due disposizioni interpretative concernenti l’applicazione dell’imposta unica e la soggettività passiva. La norma interpretata individua il soggetto passivo di imposta in capo all’operatore che “gestisce le scommesse” di qualsiasi genere mentre la norma interpretatrice chiarisce che l’attività di gestione delle scommesse può essere svolta ‘per conto proprio o per conto di terzi”. Ne discende che il soggetto passivo dell’imposta è colui che gestisce le scommesse per conto proprio o per conto di terzi, indipendentemente dall’interesse realizzato nella gestione delle stesse ed a prescindere dal possesso del titolo abilitativo. Detta ultima affermazione è in linea con il principio di carattere generale vigente in materia tributaria che prevede che le imposte si applicano ad una determinata attività anche se la stessa è illecita o abusivamente esercitata e ciò per evitare che chi eserciti l’attività abusiva, irregolare e/o illecita, sia avvantaggiato fiscalmente rispetto a chi la esercita in modo legittimo. Soggetto passivo di imposta, quindi, è colui che realizza o compartecipa alla realizzazione del presupposto impositivo predetto ponendo in essere attività quali l’accettazione della scommessa, l’incasso della posta, la consegna della ricevuta (e cioè del titolo che legittima la riscossione delle vincite) ed il pagamento delle vincite (attività tutte poste in essere in strutture ubicate in Italia), a prescindere dalla liceità e/o abusività della stessa. Le attività di cui sopra, poste in essere dal ricevitore, non possono che essere considerate di raccolta fisica delle scommesse e, quindi, di agenzia di scommessa a prescindere dalla presenza o meno del collegamento al totalizzatore nazionale gestito dalla S SpA che trasmette i dati relativi alla raccolta ai concessionari abilitati mettendoli in condizione di poter pagare l’imposta dovuta. L’attività posta in essere dal ricevitore italiano non si limita alla messa a disposizione degli utenti di strumenti telematici per accedere ai giochi offerti dal bookmaker ma, provvedendo ad accettare le scommesse, ad incassare le poste, a consegnare le ricevute (titolo legittimante la riscossione della vincita) e ad effettuare il pagamento delle vincite, in locali ubicati in Italia, pone in essere una attività di raccolta delle scommesse e non una attività di una mera intermediazione. La qualità di soggetto passivo non viene meno per la mancata assunzione in proprio del rischio della scommessa poiché ciò che rileva è il compimento delle attività tipiche del gestore (raccolta delle scommesse, raccolta delle somme puntate, pagamento dei premi) anche se poste in essere per conto di altri che assumono il rischio del gioco. La sentenza impugnata, in linea con quanto statuito dal Giudice delle Leggi con la pronuncia n. 27/2012, ha ritenuto sussistente il requisito territoriale alla luce della previsione dell’art. 1, comma 2 lett. b) della L. 288/98 che statuisce che l’imposta unica “è dovuta per i concorsi a pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero” e ciò anche in considerazione del fatto che nel caso in cui gli operatori agiscono in Italia tramite locali aperti al pubblico, come quello in esame, le scommesse debbono intendersi accettate nel territorio italiano, pur essendo ubicato all’estero il tenutario del banco, che ivi svolge la sua attività tramite soggetti stabiliti nel territorio dello Stato con i quali è legato da vincoli contrattuali, poiché è in Italia che il proponente (giocatore) ha conoscenza dell’accettazione della controparte. In tal modo, quindi, ha considerato il contratto concluso, ai sensi dell’art. 1326 c.c., nel momento e nel luogo in cui il giocatore (proponente) ha conoscenza effettiva dell’accettazione della sua proposta di gioco (da parte del bookmaker) con la consegna (da parte del CTD) del tagliando che riepiloga i dati dell’oggetto del contratto di scommessa e, quindi, in Italia nell’esercizio commerciale ove vengono raccolte le scommesse da chiunque organizzate. Detta conclusione non può che essere condivisa. In ordine al luogo di conclusione del contratto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4905/2002, ha affermato che detto luogo è quello “correlato al momento dell’accettazione e dell’incasso della puntata, momento rispetto al quale 1’eventuale non accettazione da parte del bookmaker estero non rappresenta che un elemento condizionale di risoluzione del contratto, ma non del suo perfezionamento”. La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza sopra richiamata, nel confermare l’assoggettamento all’imposta unica sia del ricevitore che del bookmaker privo di concessione, a partire dal 2011, ha precisato che il ricevitore, nell’assolvimento della sua attività di gestione, assicura la disponibilità dei locali e la ricezione della proposta in tal modo affermando, così come fatto dal Giudice di prime cure, che il giocatore è il proponente e il bookmaker è l’accettante il cui consenso viene trasmesso, tramite il CTD, con la consegna del tagliando di gioco che costituisce prova inconfutabile dell’avvenuto perfezionamento del contratto nei locali del titolare della ricevitoria. Inoltre, non può condividersi l’assunto secondo il quale il contratto di scommessa viene ad esistenza tra il bookmaker e lo scommettitore e che il CTD (che non intrattiene rapporti di rappresentanza con il bookmaker) è terzo rispetto ad esso. Detta affermazione, infatti, mal si concilia con l’affermazione secondo cui il predetto rapporto (tra il bookmaker e il CTD) può essere ricondotto, da un lato, ad un contratto di servizi di trasmissione dati e, dall’altro, allo schema della rappresentanza indiretta in cui il CTD agisce in nome proprio e per conto del bookmaker. Sostanzialmente, quindi, ci si trova di fronte alla figura di un “gestore per conto terzi” (il ricevitore). E’ la stessa Corte Costituzionale ad affermare che l’equiparazione, a fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ricevitore) al “gestore per conto proprio” (il bookmaker”) non risulta irragionevole in quanto è il ricevitore ad occuparsi della trasmissione dell’accettazione della scommessa del bookmaker, dell’incasso, del trasferimento delle somme giocate e del pagamento delle vincite secondo le istruzioni fornite dal bookmaker. La Corte Costituzionale, come sopra detto, ha affermato la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione a prescindere dal periodo di imposta ed ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla legge n. 220/2010 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale, escludendo tuttavia che il ricevitore possa ritenersi soggetto passivo di imposta per gli anni di imposta antecedenti al 2011. La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 27 del 23 gennaio 2018, depositata il 14 febbraio 2018, chiamata a pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale degli arft. 3 e 4, comma 1, lett. b), nr. 3 del D.Lvo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.Lvo n. 504/98 e dell’art. 1, comma 66 lett. b) della L. 220/2010 per violazione all’art. 53 della Costituzione nella parte in cui prevedono che nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. Ha, invece, dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 4, comma 1 del D.Lvo 504/98 in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione e non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 3 del D.Lvo 504/98 e dell’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono che, nelle annualità di imposta successive al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. Ad avviso della Corte Costituzionale, quindi, la scelta effettuata dal legislatore con l’art. 1, comma 66 della L. 220/2010 scelta di ritenere dovuta l’imposta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e di stabilire che il concetto di “gestione” include anche l’attività svolta “per conto terzi”, compresi i bookmakers con sede all’estero e privi di concessione, secondo l’equiparazione a fini tributari di “gestore per conto terzi” (titolare delle ricevitori operante per bookmaker privi di concessione) al “gestore per conto proprio” (bookmaker) – non risulta né irragionevole né incongrua e sproporzionata ed anzi corrisponde ad un’esigenza di effettività del principio di “lealtà fiscale” nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti fuori dal sistema concessorio che sarebbero favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione ovvero di operare per conto di chi ne sia privo. E’ fatto salvo anche il principio di capacità contributiva, atteso che, come affermato in sentenza, “il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare delta ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera”. La Corte Costituzionale, quindi, ha ritenuto la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione, a prescindere dal periodo di imposta; ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla L. 220/10 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale senza, però, poter ritenere soggetto passivo di imposta il ricevitore per gli anni antecedenti al 2011. Detta esclusione deriva dal fatto che prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 66, della L. 220/2010, non vi era alcuna disposizione nell’ordinamento che chiarisse il concetto di “gestione della scommessa”, in tal modo dando luogo a problemi interpretativi fugati solo con l’introduzione di detta disposizione. Detta norma, invece, ha definitivamente chiarito che sia il gestore per conto terzi (titolare delle ricevitoria) che il gestore per conto proprio (bookmaker) sono obbligati al pagamento dell’imposta unica giacchè concorrenti “sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative”, allo svolgimento di una vera e propria attività di organizzazione ed esercizio delle scommesse non efficacemente dissimulata né da una realtà ormai consolidata, quella dei c.d. CTD che, come già detto, non svolgono mera attività di intermediazione, ma di concorso allo svolgimento dell’attività di raccolta delle scommesse, né dal bookmaker che partecipa comunque direttamente alla realizzazione del presupposto d’imposta. La sentenza impugnata, quindi, deve essere confermata atteso che, nel ritenere sussistente il presupposto territoriale di applicazione dell’imposta, ha considerato tutti gli aspetti del rapporto intercorrente tra il ricevitore ed il bookmaker indicati dalla Corte Costituzionale. E’privo di pregio anche il motivo di impugnazione relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (Direttiva IVA) che recita “Fermo restando le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi tra gli Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”. L’appellante, in particolare, lamenta che il giudice di prime cure non ha affrontato il tema, a suo dire di estremo rilievo, relativo all’incompatibilità del tributo de quo con I’art. 401 della predetta Direttiva. L’Art. 401 della Direttiva IVA consente il mantenimento o l’istituzione da parte di uno Stato membro di imposte gravanti sulle forniture di beni, sulle prestazioni di servizio solo se non hanno natura di imposte sul volume d’affari. L’imposta unica di cui si discute, quale tributo non armonizzato, non può essere ricondotto nell’alveo delle imposte sul volume d’affari come ritenuto dall’appellante. Detta imposta non risulta incompatibile con il divieto di imposta sul volume d’affari in quanto non grava su tutte le operazioni economiche dello Stato membro ma si riferisce ad uno specifico servizio (a differenza dell’Iva che si applica a tutte le operazioni aventi ad oggetto beni e servizi); viene riscossa solo una volta e non nelle fasi intermedie (a differenza dell’Iva che si applica in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza); non si applica sul valore aggiunto dei beni e servizi, tant’è che le vincite e le operazioni connesse all’esercizio delle scommesse sono esenti da Iva; non si applica sul volume d’affari ma lo stesso costituisce solo un parametro per la sua quantificazione. A differenza dell’Iva, inoltre, non è proporzionata al prezzo del bene o dei servizi, applicandosi aliquote diverse in funzione dell’entità degli importi delle scommesse. Dunque, l’imposta unica non presenta caratteri affini a quelli che contraddistinguono l’Iva. Pertanto, la sottoposizione all’imposta unica di soggetti non titolari di concessione che, operando dall’estero nel territorio nazionale per il tramite di intermediari, concorrono ad un’unitaria operazione economica intesa a realizzare la scommessa, non può dirsi in contrasto con la predetta disposizione. Pertanto, la sottoposizione all’imposta unica di soggetti non titolari di concessione che, operando dall’estero nel territorio nazionale per il tramite di intermediarì, concorrono ad un’unitaria operazione economica intesa a realizzare la scommessa, non può dirsi in contrasto con le disposizioni di cui sopra che, anzi, legittima la normativa tributaria italiana in esame. Tra l’altro i principi cardine dell’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, costituiti dai principi di sussidiarietà e di equilibrio istituzionale che regolano i rapporti intercorrenti tra le istituzioni europee e tra questi e gli Stati membri, incentrati, tra l’altro, nel rispetto delle rispettive sfere di competenza, attribuiscono a ciascun Paese la competenza esclusiva in materia di tasse e contributi e ciò anche in considerazione dell’inesistenza di una totale armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali e, nel campo dei giochi con vincite in denaro, neppure di una armonizzazione settoriale. In definitiva, quindi, l’imposta unica sulle scommesse di cui all’art. 1 del D.Lvo 504/92 è un’imposta non armonizzata a livello europeo e, pertanto, le regole che stabiliscono la base imponibile, i soggetti passivi, le aliquote ecc. sono poste dalla legislazione nazionale, a prescindere dal trattamento fiscale che gli altri paesi riservano al medesimo fatto generatore del tributo. Si rileva, inoltre, che il richiamo operato dall’appellante al disposto di cui all’art. 1, comma 945, della L. 208/15 (Legge di stabilità 2016) che, a suo dire, introducendo un diverso calcolo della base imponibile dell’imposta unica sulle scommesse avrebbe “di fatto riconosciuto che l’imposta unica, così come strutturata fino al 31.12.2015, possa essere confliggente con la normativa comunitaria in materia di IVA” è del tutto inconferente. Detta ultima norma, infatti, trova applicazione solo sul canale di raccolta, cioè alle sole scommesse raccolte in collegamento con il totalizzatore nazionale, lascando impregiudicato il meccanismo impositivo già vigente per gli operatori, come nel caso in esame, non collegati alla filiera legale. Da quanto sopra discende il rigetto dell’appello. Le spese seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 258/19 r.g.a., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado che liquida in euro 1.000,00.
https://www.jamma.tv/attualitasx/comm-t ... sta-216628
9 Febbraio 2021 - 13:26
La Corte Costituzionale ha affermato la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione a prescindere dal periodo di imposta ed ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla legge n. 220/2010 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale, escludendo tuttavia che il ricevitore possa ritenersi soggetto passivo di imposta per gli anni di imposta antecedenti al 2011.
Con questo presupposto la Commissione Tributaria abruzzese ha respinto il ricorso del titolare di una agenzia di scommesse a cui l’AAMS aveva notificato un avviso d’accertamento quale imposta unica dovuta sulle scommesse raccolte nell’anno di imposta 2012 oltre a sanzioni ed interessi, indicando quale soggetto responsabile la G. GmbH con sede in Austria quale soggetto responsabile in solido.
Contro detto atto ha proposto ricorso il contribuente lamentando: – l’inesistenza e/o illegittimità dell’avviso di accertamento per intervenuta estinzione della società e quindi di carica sociale in capo a R. prima dell’entrata in vigore delle modifiche dettate dall’art. 22 del D.Lvo 175/2014; – la sussistenza degli stessi dubbi interpretativi della normativa italiana in materia di Imposta Unica sulle Scommesse evidenziati nell’ordinanza della Commissione Tributaria Provinciale di Parma, con la quale veniva disposta la sospensione del procedimento in attesa delle determinazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per questioni pregiudiziali inerenti i principi di diritto dell’Unione Europea circa la parità di trattamento e non discriminazione anche fiscale; sospensione ritenuta applicabile anche al caso in esame; – l’eccessiva durata della verifica fiscale; – l’omessa pronuncia in ordine alla definizione ed al luogo di accettazione della scommessa; – la violazione e falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 28 novembre 2006 n. 2006 /112/CE. La CTP, con la sentenza impugnata, ha rigettato il ricorso ritenendo che: – a seguito dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese viene a verificarsi un fenomeno di tipo successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”.
Il primo motivo di impugnazione – inesistenza e/o illegittimità dell’avviso di accertamento per intervenuta estinzione della società – è, per la Comm.Tributaria, infondato e, quindi, deve essere rigettato. Le disposizioni dettate in materia di estinzione delle società di cui al D. Lgs. N. 175/2014, entrato in vigore il 13.12.2014, non avendo efficacia retroattiva, non si applicano alle società (di capitali o di persone) che hanno fatto richiesta di cancellazione dal registro delle imprese prima della loro entrata in vigore e, quindi non si applicano al caso in esame atteso che la cancellazione della società è avvenuta il 13.1 1.20 14. Non si applica, quindi, così come evidenziato anche dall’appellante, l’art. 28 del D.Lvo 175/14 che disciplina il differimento quinquennale -operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, con riguardo ai tributi e contributi – degli effetti dell’estinzione della società. La CTP, nella sentenza impugnata, ha correttamente richiamato la riforma del diritto societario di cui al D.Lgs n. 6/2003 nella parte in cui prevede che l’estinzione della società non determina l’estinzione dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi in quanto si verifica “un fenomeno di tipo successorio sui generis” a carico dei soci. E’ nei confronti dei soci e non della società (in persona del legale rappresentante) che, quindi, può essere proposta l’azione dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese. La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n, 4060 del 12.3.2010, ha affermato che alla cancellazione della società le relative obbligazioni non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Principio ribadito dalla Suprema Corte, Sez. VI, con l’ordinanza n. 11683 del 7.6.2016 e con l’ordinanza n.13805 del 6/7/2016 (Rv. 640167-01) laddove ha affermato che “In tema di società in accomandita, la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni contratte dalla società (nella specie relative ad IVA e IRAP) è illimitata e non circoscritta alle somme conferitegli in base al bilancio finale di liquidazione nonostante l’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, atteso che tale evento non determina l’estinzione dell’obbligazione sociale, ma solo il suo trasferimento in capo ai soci, i quali ne rispondono secondo lo stesso regime di responsabilità vigente “pendente societate”. Nel caso in esame l’Ufficio ha quindi correttamente notificato, il 10 luglio 2017, l’accertamento, avente ad oggetto l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse relativo all’anno 2012, a R. che, quale socio accomandatario della cessata società S. sas, risponde illimitatamente dei debiti sociali. Del pari priva di pregio è la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia in ordine alla “questione pregiudiziale” sollevata dalla CTP di Parma. Detta “questione pregiudiziale” sollevata dalla CTP di Parma non giustifica la sospensione del presente giudizio atteso che le questioni sollevate non sono più controverse poiché risolte sia dal giudice nazionale che dal giudice sovranazionale. In materia di giochi pubblici e scommesse, la Corte di Giustizia ha riconosciuto la piena legittimità dell’attuale sistema normativo nazionale, idoneo a rimediare alle pregresse distorsioni del mercato e giustificato da motivi di interesse generale, quali la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. La Corte di Giustizia, quindi, è approdata alle stesse conclusioni espresse dal Giudice delle Leggi con la sentenza n. 27 del 2018 ritenendo che non sussiste alcuna incompatibilità tra la normativa italiana ed i principi unionali di libera concorrenza e di parità di trattamento. La normativa italiana in detta materia è giustificata dall’esigenza di tutela di interessi generali ed in particolare per migliorare la solidità economica – finanziaria dei concessionari e rafforzane l’onorabilità e l’affidabilità oltre che per combattere la criminalità organizzata il cui perseguimento giustifica le restrizioni ivi previste (Corte di Giustizia UE, sentenza 20 dicembre 2017, C-322/16. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 23 gennaio 2012, ha ribadito la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse sia per il ricevitore che per il bookmaker privo di concessione, almeno per gli anni di imposta a partire dal 2011. Detta scelta corrisponde ad un’esigenza di effettività del principio di “lealtà fiscale” nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per operatori posti fuori dal sistema concessorio i quali sarebbero favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione ovvero di operare per conto di chi ne sia privo. E’ fatto salvo anche il rispetto del principio di capacità contributiva, atteso che, come esposto in detta sentenza, “il rapporto tra titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera”. Non sussiste, pertanto, alcuna violazione della libertà di prestazioni di servizi di cui all’art. 56 TFUE e dei principi eurocomunitari di parità di trattamento e di non discriminazione derivante dalla mancata disapplicazione dell’art. 3 del D.Lvo 504/92. Come sopra detto, la Corte Costituzionale, nella sentenza citata, ha ravvisato la ratio della normativa interna nell’opportunità di non operare una indebita discriminazione in danno degli operatori nazionali muniti di concessione. Del pari non sussiste alcuna discriminazione nel considerare il CTD soggetto passivo di imposta al pari della G. GmbH in quanto, in ossequio al principio di lealtà fiscale, l’obbligazione tributaria deve gravare anche sugli operatori posti fuori del sistema concessorio che concorrono a pieno titolo alla realizzazione del presupposto di imposta. La normativa italiana che ha stabilito soggettività passiva di imposta del cd. CTD e dei bookmaker privi di titoli autorizzatori previsti, pertanto, è perfettamente conforme al dettato normativo e giurisprudenziale del diritto unionale. La sentenza impugnata, quindi, si è posta in linea sia con quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 27 del 23 gennaio 2018 che ha escluso la violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità con riguardo all’assoggettamento ad imposta del ricevitore sfornito di concessione, con conseguente parificazione dello stesso al ricevitore concessionario, a partire dall’anno di imposta 2011. Ritiene questa CTR, alla luce di quanto sopra detto, che l’appellante è tenuto al pagamento dell’imposta unica dovuta sulle scommesse raccolte nell’anno di imposta 2012 atteso che lo stesso ha gestito in concreto una attività soggetta all’imposta unica sui giochi e sulle scommesse per conto del bookmaker estero al quale è legato da vincolo di solidarietà sostanziale. Il bookmaker estero (G. GmbH) ed il CTD che ha svolto una vera e propria attività di intermediazione – costituiscono un unico punto di imputazione di responsabilità rispetto alle pretese dell’erario poiché unitaria è l’attività posta in essere dai detti due soggetti. Del pari infondato è il motivo di impugnazione relativo all’eccessiva durata della verifica fiscale poiché l’attività è stata realizzata in una sola giornata, il 10.6.2014, presso la sede legale della cessata società denominata ” S. S.a.s. di R. & C.” e, quindi, nel pieno rispetto delle disposizioni previste. Non sussiste, pertanto, la violazione dell’art. 12, comma 5 della L. 212/2000 che espressamente prevede che la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può superare il termine di trenta giorni, prorogabile nei casi di particolare complessità dell’indagine neanche di altre norme dello Statuto del Contribuente. Privo di pregio è anche il motivo di impugnazione relativo all’erronea statuizione da parte della CTP del presupposto territoriale dell’imposta unica. L’art. 1 del D.Lvo n. 504/98 prevede che “La tassa di cui all’art. 6 del decreto legislativo 14 aprile n. 496, assume la denominazione di imposta unica ed è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 24, comma 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e nell’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773”. L’art. 3 del D.Lvo 504/98 prevede che i soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro che “gestiscono, anche in concessione, le scommesse”. Detti articoli debbono essere interpretati in base alle disposizioni di cui alla legge 220/2010 che, all’art. 1, comma 66 lett. a e b, detta due disposizioni interpretative concernenti l’applicazione dell’imposta unica e la soggettività passiva. La norma interpretata individua il soggetto passivo di imposta in capo all’operatore che “gestisce le scommesse” di qualsiasi genere mentre la norma interpretatrice chiarisce che l’attività di gestione delle scommesse può essere svolta ‘per conto proprio o per conto di terzi”. Ne discende che il soggetto passivo dell’imposta è colui che gestisce le scommesse per conto proprio o per conto di terzi, indipendentemente dall’interesse realizzato nella gestione delle stesse ed a prescindere dal possesso del titolo abilitativo. Detta ultima affermazione è in linea con il principio di carattere generale vigente in materia tributaria che prevede che le imposte si applicano ad una determinata attività anche se la stessa è illecita o abusivamente esercitata e ciò per evitare che chi eserciti l’attività abusiva, irregolare e/o illecita, sia avvantaggiato fiscalmente rispetto a chi la esercita in modo legittimo. Soggetto passivo di imposta, quindi, è colui che realizza o compartecipa alla realizzazione del presupposto impositivo predetto ponendo in essere attività quali l’accettazione della scommessa, l’incasso della posta, la consegna della ricevuta (e cioè del titolo che legittima la riscossione delle vincite) ed il pagamento delle vincite (attività tutte poste in essere in strutture ubicate in Italia), a prescindere dalla liceità e/o abusività della stessa. Le attività di cui sopra, poste in essere dal ricevitore, non possono che essere considerate di raccolta fisica delle scommesse e, quindi, di agenzia di scommessa a prescindere dalla presenza o meno del collegamento al totalizzatore nazionale gestito dalla S SpA che trasmette i dati relativi alla raccolta ai concessionari abilitati mettendoli in condizione di poter pagare l’imposta dovuta. L’attività posta in essere dal ricevitore italiano non si limita alla messa a disposizione degli utenti di strumenti telematici per accedere ai giochi offerti dal bookmaker ma, provvedendo ad accettare le scommesse, ad incassare le poste, a consegnare le ricevute (titolo legittimante la riscossione della vincita) e ad effettuare il pagamento delle vincite, in locali ubicati in Italia, pone in essere una attività di raccolta delle scommesse e non una attività di una mera intermediazione. La qualità di soggetto passivo non viene meno per la mancata assunzione in proprio del rischio della scommessa poiché ciò che rileva è il compimento delle attività tipiche del gestore (raccolta delle scommesse, raccolta delle somme puntate, pagamento dei premi) anche se poste in essere per conto di altri che assumono il rischio del gioco. La sentenza impugnata, in linea con quanto statuito dal Giudice delle Leggi con la pronuncia n. 27/2012, ha ritenuto sussistente il requisito territoriale alla luce della previsione dell’art. 1, comma 2 lett. b) della L. 288/98 che statuisce che l’imposta unica “è dovuta per i concorsi a pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero” e ciò anche in considerazione del fatto che nel caso in cui gli operatori agiscono in Italia tramite locali aperti al pubblico, come quello in esame, le scommesse debbono intendersi accettate nel territorio italiano, pur essendo ubicato all’estero il tenutario del banco, che ivi svolge la sua attività tramite soggetti stabiliti nel territorio dello Stato con i quali è legato da vincoli contrattuali, poiché è in Italia che il proponente (giocatore) ha conoscenza dell’accettazione della controparte. In tal modo, quindi, ha considerato il contratto concluso, ai sensi dell’art. 1326 c.c., nel momento e nel luogo in cui il giocatore (proponente) ha conoscenza effettiva dell’accettazione della sua proposta di gioco (da parte del bookmaker) con la consegna (da parte del CTD) del tagliando che riepiloga i dati dell’oggetto del contratto di scommessa e, quindi, in Italia nell’esercizio commerciale ove vengono raccolte le scommesse da chiunque organizzate. Detta conclusione non può che essere condivisa. In ordine al luogo di conclusione del contratto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4905/2002, ha affermato che detto luogo è quello “correlato al momento dell’accettazione e dell’incasso della puntata, momento rispetto al quale 1’eventuale non accettazione da parte del bookmaker estero non rappresenta che un elemento condizionale di risoluzione del contratto, ma non del suo perfezionamento”. La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza sopra richiamata, nel confermare l’assoggettamento all’imposta unica sia del ricevitore che del bookmaker privo di concessione, a partire dal 2011, ha precisato che il ricevitore, nell’assolvimento della sua attività di gestione, assicura la disponibilità dei locali e la ricezione della proposta in tal modo affermando, così come fatto dal Giudice di prime cure, che il giocatore è il proponente e il bookmaker è l’accettante il cui consenso viene trasmesso, tramite il CTD, con la consegna del tagliando di gioco che costituisce prova inconfutabile dell’avvenuto perfezionamento del contratto nei locali del titolare della ricevitoria. Inoltre, non può condividersi l’assunto secondo il quale il contratto di scommessa viene ad esistenza tra il bookmaker e lo scommettitore e che il CTD (che non intrattiene rapporti di rappresentanza con il bookmaker) è terzo rispetto ad esso. Detta affermazione, infatti, mal si concilia con l’affermazione secondo cui il predetto rapporto (tra il bookmaker e il CTD) può essere ricondotto, da un lato, ad un contratto di servizi di trasmissione dati e, dall’altro, allo schema della rappresentanza indiretta in cui il CTD agisce in nome proprio e per conto del bookmaker. Sostanzialmente, quindi, ci si trova di fronte alla figura di un “gestore per conto terzi” (il ricevitore). E’ la stessa Corte Costituzionale ad affermare che l’equiparazione, a fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ricevitore) al “gestore per conto proprio” (il bookmaker”) non risulta irragionevole in quanto è il ricevitore ad occuparsi della trasmissione dell’accettazione della scommessa del bookmaker, dell’incasso, del trasferimento delle somme giocate e del pagamento delle vincite secondo le istruzioni fornite dal bookmaker. La Corte Costituzionale, come sopra detto, ha affermato la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione a prescindere dal periodo di imposta ed ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla legge n. 220/2010 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale, escludendo tuttavia che il ricevitore possa ritenersi soggetto passivo di imposta per gli anni di imposta antecedenti al 2011. La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 27 del 23 gennaio 2018, depositata il 14 febbraio 2018, chiamata a pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale degli arft. 3 e 4, comma 1, lett. b), nr. 3 del D.Lvo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.Lvo n. 504/98 e dell’art. 1, comma 66 lett. b) della L. 220/2010 per violazione all’art. 53 della Costituzione nella parte in cui prevedono che nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. Ha, invece, dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 4, comma 1 del D.Lvo 504/98 in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione e non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 3 del D.Lvo 504/98 e dell’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono che, nelle annualità di imposta successive al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. Ad avviso della Corte Costituzionale, quindi, la scelta effettuata dal legislatore con l’art. 1, comma 66 della L. 220/2010 scelta di ritenere dovuta l’imposta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e di stabilire che il concetto di “gestione” include anche l’attività svolta “per conto terzi”, compresi i bookmakers con sede all’estero e privi di concessione, secondo l’equiparazione a fini tributari di “gestore per conto terzi” (titolare delle ricevitori operante per bookmaker privi di concessione) al “gestore per conto proprio” (bookmaker) – non risulta né irragionevole né incongrua e sproporzionata ed anzi corrisponde ad un’esigenza di effettività del principio di “lealtà fiscale” nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti fuori dal sistema concessorio che sarebbero favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione ovvero di operare per conto di chi ne sia privo. E’ fatto salvo anche il principio di capacità contributiva, atteso che, come affermato in sentenza, “il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare delta ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera”. La Corte Costituzionale, quindi, ha ritenuto la piena vigenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta unica sulle scommesse anche per la raccolta senza concessione, a prescindere dal periodo di imposta; ha ricostruito il vincolo di solidarietà esplicitato dalla L. 220/10 tra ricevitore e bookmaker come solidarietà tributaria sostanziale senza, però, poter ritenere soggetto passivo di imposta il ricevitore per gli anni antecedenti al 2011. Detta esclusione deriva dal fatto che prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 66, della L. 220/2010, non vi era alcuna disposizione nell’ordinamento che chiarisse il concetto di “gestione della scommessa”, in tal modo dando luogo a problemi interpretativi fugati solo con l’introduzione di detta disposizione. Detta norma, invece, ha definitivamente chiarito che sia il gestore per conto terzi (titolare delle ricevitoria) che il gestore per conto proprio (bookmaker) sono obbligati al pagamento dell’imposta unica giacchè concorrenti “sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative”, allo svolgimento di una vera e propria attività di organizzazione ed esercizio delle scommesse non efficacemente dissimulata né da una realtà ormai consolidata, quella dei c.d. CTD che, come già detto, non svolgono mera attività di intermediazione, ma di concorso allo svolgimento dell’attività di raccolta delle scommesse, né dal bookmaker che partecipa comunque direttamente alla realizzazione del presupposto d’imposta. La sentenza impugnata, quindi, deve essere confermata atteso che, nel ritenere sussistente il presupposto territoriale di applicazione dell’imposta, ha considerato tutti gli aspetti del rapporto intercorrente tra il ricevitore ed il bookmaker indicati dalla Corte Costituzionale. E’privo di pregio anche il motivo di impugnazione relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (Direttiva IVA) che recita “Fermo restando le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi tra gli Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”. L’appellante, in particolare, lamenta che il giudice di prime cure non ha affrontato il tema, a suo dire di estremo rilievo, relativo all’incompatibilità del tributo de quo con I’art. 401 della predetta Direttiva. L’Art. 401 della Direttiva IVA consente il mantenimento o l’istituzione da parte di uno Stato membro di imposte gravanti sulle forniture di beni, sulle prestazioni di servizio solo se non hanno natura di imposte sul volume d’affari. L’imposta unica di cui si discute, quale tributo non armonizzato, non può essere ricondotto nell’alveo delle imposte sul volume d’affari come ritenuto dall’appellante. Detta imposta non risulta incompatibile con il divieto di imposta sul volume d’affari in quanto non grava su tutte le operazioni economiche dello Stato membro ma si riferisce ad uno specifico servizio (a differenza dell’Iva che si applica a tutte le operazioni aventi ad oggetto beni e servizi); viene riscossa solo una volta e non nelle fasi intermedie (a differenza dell’Iva che si applica in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza); non si applica sul valore aggiunto dei beni e servizi, tant’è che le vincite e le operazioni connesse all’esercizio delle scommesse sono esenti da Iva; non si applica sul volume d’affari ma lo stesso costituisce solo un parametro per la sua quantificazione. A differenza dell’Iva, inoltre, non è proporzionata al prezzo del bene o dei servizi, applicandosi aliquote diverse in funzione dell’entità degli importi delle scommesse. Dunque, l’imposta unica non presenta caratteri affini a quelli che contraddistinguono l’Iva. Pertanto, la sottoposizione all’imposta unica di soggetti non titolari di concessione che, operando dall’estero nel territorio nazionale per il tramite di intermediari, concorrono ad un’unitaria operazione economica intesa a realizzare la scommessa, non può dirsi in contrasto con la predetta disposizione. Pertanto, la sottoposizione all’imposta unica di soggetti non titolari di concessione che, operando dall’estero nel territorio nazionale per il tramite di intermediarì, concorrono ad un’unitaria operazione economica intesa a realizzare la scommessa, non può dirsi in contrasto con le disposizioni di cui sopra che, anzi, legittima la normativa tributaria italiana in esame. Tra l’altro i principi cardine dell’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, costituiti dai principi di sussidiarietà e di equilibrio istituzionale che regolano i rapporti intercorrenti tra le istituzioni europee e tra questi e gli Stati membri, incentrati, tra l’altro, nel rispetto delle rispettive sfere di competenza, attribuiscono a ciascun Paese la competenza esclusiva in materia di tasse e contributi e ciò anche in considerazione dell’inesistenza di una totale armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali e, nel campo dei giochi con vincite in denaro, neppure di una armonizzazione settoriale. In definitiva, quindi, l’imposta unica sulle scommesse di cui all’art. 1 del D.Lvo 504/92 è un’imposta non armonizzata a livello europeo e, pertanto, le regole che stabiliscono la base imponibile, i soggetti passivi, le aliquote ecc. sono poste dalla legislazione nazionale, a prescindere dal trattamento fiscale che gli altri paesi riservano al medesimo fatto generatore del tributo. Si rileva, inoltre, che il richiamo operato dall’appellante al disposto di cui all’art. 1, comma 945, della L. 208/15 (Legge di stabilità 2016) che, a suo dire, introducendo un diverso calcolo della base imponibile dell’imposta unica sulle scommesse avrebbe “di fatto riconosciuto che l’imposta unica, così come strutturata fino al 31.12.2015, possa essere confliggente con la normativa comunitaria in materia di IVA” è del tutto inconferente. Detta ultima norma, infatti, trova applicazione solo sul canale di raccolta, cioè alle sole scommesse raccolte in collegamento con il totalizzatore nazionale, lascando impregiudicato il meccanismo impositivo già vigente per gli operatori, come nel caso in esame, non collegati alla filiera legale. Da quanto sopra discende il rigetto dell’appello. Le spese seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 258/19 r.g.a., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado che liquida in euro 1.000,00.
https://www.jamma.tv/attualitasx/comm-t ... sta-216628
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